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La pessima situazione lavorativa dei musicisti cubani fino a dopo il 2000

La pessima situazione lavorativa dei musicisti cubani fino a dopo il 2000

Fino a dopo il 2000, l’industria musicale cubana ha sofferto in lungo e in largo ogni tipo di sopruso e ingiustizia culturale ma in gran parte economica, riguardante soprattutto lo sfruttamento dei lavoratori dello spettacolo e dell’intrattenimento: danzatori, animatori, attori e gli immancabili musicisti.

Il problema nasce già qualche tempo prima, quando fin dalla prima metà degli anni 90’, moltissimi procacciatori d’affari stranieri sia di buona che di dubbia professionalità, scandagliano quasi tutte le isole caraibiche in cerca di artisti musicali a buon mercato.

Molte volte questi affaristi si rivelano dei malfattori a tutti gli effetti, ingaggiando magari gli operatori per poi a lavoro finito sottrarsi ai pagamenti dovuti, oppure acquisendo le registrazioni nuove dei musicisti migliori senza poi mantenere le clausole contrattuali di royalty, o ancora infrangendo contratti o includendo contratti da strozzinaggio o capestro.

Appena sorpassato il nuovo millennio, finalmente alcuni dirigenti collegati al business dell’industria musicale costituiscono assieme per il bene comune, sia loro che dei vari artisti, un’organizzazione anti pirateria musicale che si prefigge anche lo scopo di preservare l’incolumità di tutti gli operatori del settore musicale, difendendoli specialmente proprio dai vari abusi adottati per tutto il decennio precedente da questi finti imprenditori senza scrupoli.

Ogni musicista latino americano e soprattutto cubano, conosceva bene questa situazione di disparità economica e di ricatto presente tra la loro fazione e la controparte rappresentata dai pessimi produttori esteri.

Nella maggior parte dei casi era l’artista stesso che per cognizione di causa e per nessuna alternativa presente, si abbassava a lavorare collaborando con questi infausti individui, pur di sperare in un qualsivoglia tipo di remunerazione salariale.

Erano anni davvero terribili sotto l’aspetto lavorativo e dello sfruttamento, pertanto scendere a compromessi inumani e di sfruttamento lavorativo era abbastanza cosa comune.

Alcuni musicisti come Giraldo Piloto affermano in varie loro interviste che all’epoca, ben pochi nel settore dello show business musicale di Cuba erano a conoscenza dei tipi di contratto esteri, delle royalty, dei diritti o degli enti di tutela che potevano coordinare l’industria musicale di ogni Paese straniero.

La maggior parte dei migliori musicisti erano ragazzotti freschi freschi di conservatorio o di scuole d’arte folkloriche cubane, provenienti da un regime politico totalmente comunista, che li teneva ben all’oscuro di tutto ciò che accadeva al di fuori della loro terra in termini lavorativi.

Per questo gli avidi ed infidi sfruttatori di produzione straniere potevano avere tutti i benefit investendo a Cuba, nessuno sapeva nulla di contratti, di percentuali, di diritti e così via.

Non era una questione di imposizione, affatto, era sfruttamento di manodopera grazie all’ingenuità ed all’ignoranza di gente che però artisticamente era preparatissima.

Purtroppo questo stile di collaborazione tra produzioni minori ed artisti alla ricerca di contratti è presente ancora oggi in tutto il Sud America.

Se una band vuole iniziare a farsi conoscere ma non possiede la forza economica per iniziare a proporsi e prodursi, dovrà per forza finire nel contattare e cadere nelle trappole dei peggiori produttori o delle peggiori etichette discografiche (se così possono essere chiamate).

Tutto questo avviene anche nel settore della musica live (dal vivo), è inoltre successo più volte che diversi artisti che hanno accettato di collaborare con promoter di dubbia esperienza e provenienza, sono stati in un secondo momento abbandonati dagli stessi in Paesi Esteri senza passaggio di ritorno a casa.