Politiche di repressione dei pubblici in america latina
Vi è stato un periodo nel quale in tutta l’America Latina ed in particolare in tutti quei piccoli e grandi Paesi nei quali veniva prodotta internamente musica latino americana, le cose non tergiversavano in direzioni corrette.
Naturalmente questi aspetti colpiscono in prevalenza quei luoghi ove risulta essere usuale un approdo di turismo elevato: Santo Domingo, Cuba, Brasile Paesi del Sud America, sono vittime di un boom turistico che rende il successo della musica locale degli anni 90’ verso i mercati esteri, sempre in crescita, ma che come effetto collaterale decima per quanto riguarda il materiale artistico e produttivo, le istituzioni ed i circoli locali.
Ciò avviene in maniera preponderante in Paesi nei quali predominano politiche filo comuniste, come a Cuba; una meta ambita da tutti i turisti del Mondo per le sue spiagge immacolate, candide, dai colori del mare cristallini ed ovviamente anche per la qualità di intrattenimento che l’Isola ha da offrire, ma che per queste cause di “forza maggiore” dettate dalla tipologia di mercato in essere, sottopongono tutti gli artisti a scelte difficili, spostandoli quasi tutti all’estero per cercare fama e denaro, lasciando così il mercato locale sprovvisto della possibilità di ingaggio di nomi di rilievo, sia per il fatto poc’anzi menzionato sia per un aspetto del tutto economico.
I nomi di successo sono perciò resi irraggiungibili da tutta una lunga serie di difficoltà del mercato, con una conseguente e tragica emarginazione selettiva dei pubblici locali.
Da aggiungere inoltre un inadempienza del trasporto pubblico e dell’allora esclusione dei dollari americani da molti luoghi di spettacolo per l’aggregazione pubblica, come locali serali o circoli; altri ennesimi problemi generati dal comunismo e limitanti per i gestori, ai quali viene in pratica loro vietato di indire iniziative di investimento economico con artisti di spessore, per tutta questa serie di motivazioni.
Innumerevoli sono le testimonianze dell’epoca della crisi dello spettacolo, che raccontano l’esperienza di giornalisti ed impresari che hanno provato a cimentarsi nella realizzazione di concerti di musicisti importanti e di come, di conseguenza, le autorità hanno ostacolato di gran lunga questo genere di iniziative, provocando inoltre la chiusura di alcuni dei principali luoghi di cultura, come se si trattasse di attività estremamente proibite, dannose e criminali.
E’ il periodo nel quale la musica dal vivo viene man mano sostituita da quella registrata, di proprietà e controllata dagli enti dello Stato, che a loro volta sono ormai gli stessi a gestire locali notturni e discoteche.
Un altro smacco nei confronti del lavoro culturale ed artistico popolare per favorire le casse statali, un’iniziativa decisionale alquanto bizzarra per uno Stato che ha deciso di abbandonare il musicista ed ha condotto il destino di molte band di spessore ad una sorte incerta, nella maggior parte dei casi, alla loro completa scomparsa.
Questa scelta repressiva di alcune nature di pubblici esistenti è un problema assai diffuso che addirittura risale a qualche decennio prima, precisamente fin dagli anni 60’.